Melilla: migranti uccisi dalla speranza

Vincenzo Paglia: troppe guerre insensate

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Da "il Riformista" 28 giugno 2022 - pagina 1 e 2

La guerra in Ucraina è insensata e terribile e questo è sicuro. Ma è altrettanto sicuro che ci rende poco sensibili rispetto all’altra guerra che ogni giorno si combatte nel sud dell’Europa, nella cerniera con l’Africa. A volte si chiama Mediterraneo, oggi si chiama Melilla, il confine tra Marocco e Spagna, che diventa il confine tra schiavitù e libertà. I morti di questa guerra vengono relegati nelle pagine interne, o in un trafiletto. È sbagliato, è tragico, è infamante: si tratta di esseri umani, uccisi a causa della speranza, non “morti di speranza” in mare che è già gravissimo. No. Qui sono uccisi! La cronaca di quello che è accaduto venerdì scorso al confine tra Marocco e Spagna, nell’enclave di Melilla, è atroce. Dicono i resoconti che almeno 37 persone sono morte venerdì in Marocco – ma il bilancio è destinato a salire – in un tentativo di ingresso di massa a Melilla. Secondo le autorità della città marocchina di Nador, alcuni sono morti per schiacciamento o soffocamento, intrappolati vicino al perimetro di confine e altri caduti dalla recinzione. 63 migranti sono rimasti feriti e 140 poliziotti marocchini hanno riportato ferite, in 5 casi gravi. L'Associazione marocchina per i diritti umani (Amdh), la più affermata nel paese, ha riferito, citando fonti ospedaliere, che sono morti sei emigranti e due gendarmi marocchini. Si tratta in ogni caso del primo ingresso massiccio a Melilla di emigranti irregolari da quando il governo spagnolo ha modificato a marzo la politica sul Sahara occidentale e ha apertamente favorito la proposta di autonomia per il territorio conteso, a scapito del referendum di autodeterminazione richiesto dal Fronte Polisario. Circa 500 persone sono riuscite ad avvicinarsi alla recinzione, delle oltre 1.500 (forse 1.700) che si erano avvicinate al perimetro dai dintorni durante la prima mattinata. In 133 hanno forzato la porta del valico di frontiera. Come ha scritto il quotidiano spagnolo “El Pais”, “quando la tragedia si verifica dalla parte marocchina, la trasparenza è minore, l'informazione è limitata e difficile da valutare. Le circostanze che hanno segnato questo ultimo assalto sono ancora da chiarire, ma le prime informazioni indicano una grande concentrazione di persone in una vallata a ridosso del perimetro, dove sono rimasti intrappolati diversi migranti. In alcuni video che circolano sui social si possono percepire momenti tesi e pericolosi. In uno si può vedere come le azioni delle forze marocchine abbiano costretto un folto gruppo di migranti a correre, muovendosi parallelamente alla recinzione e la folla si è raccolta per sfuggire ai fumogeni sparati direttamente contro di loro”. Sempre la cronaca di “El Pais” evidenzia che “tra i 133 che sono riusciti ad entrare a Melilla, c'è una maggioranza di sudanesi. Questa nazionalità era già molto presente negli ultimi tentativi, il 2 e 3 marzo, quando più di 850 migranti sono riusciti ad entrare nella città autonoma. I sudanesi sono potenziali rifugiati, secondo l'ONU. I sudanesi hanno uno dei più alti tassi di riconoscimento dell'asilo in Spagna, oltre l'88% quest'anno, secondo i dati del Ministero dell'Interno. Lo Stato riconosce la loro protezione internazionale, perché ritiene che siano a rischio di morte se tornano nel loro paese o che siano perseguitati. Per raggiungere questo obiettivo, finiscono per entrare in Europa in modo irregolare. La rotta libica è stata la più comune, anche se la rotta spagnola, attraverso il Marocco, ha registrato un aumento negli ultimi due anni”.

Ho voluto citare in modo esteso il quotidiano spagnolo, nei diversi servizi che sta dedicando da quattro giorni alla vicenda, perché è necessario scuotere il muro più alto costruito negli anni in Europa e non solo: il muro dell’indifferenza verso i profughi. Oggi la guerra in Ucraina “mangia” tutte le pagine delle cronache, assorbe dibattiti televisivi sempre più uguali a loro stessi, non ci fa vedere cosa c’è al di là dell’Europa che abbiamo costruito e nella quale viviamo. Al di là dell’Europa c’è il mondo. Ed il resto del mondo guarda al Continente Europeo, guarda alla civiltà che abbiamo saputo esprimere nella storia, chiede aiuto. I migranti, lo abbiamo detto tante volte, non portano via il lavoro, non ci “rubano” le donne, non minacciano il nostro benessere. Chiedono aiuto per migliorare le loro condizioni di vita ed integrarsi nel Continente. Un Continente, sia detto per inciso, che è in crisi di natalità e restare dentro frontiere chiuse non ha senso. I movimenti della storia non si arrestano. È necessario ricordare l’Impero romano? I suoi eserciti non arrestarono le ondate che premevano ai confini. Anzi, gli imperatori inserirono i “barbari” dentro l’esercito, per tentare un’integrazione che poi il corso della Storia pensò a incanalare lungo un’altra strada. E noi europei di oggi, non siamo forse eredi di una civiltà e di una cultura greco-romana prima e cristiana poi, dal netto e deciso impulso universale? Chiesa cattolica non vuol dire forse universalità? Quella sétta cristiana di pochi ebrei non è diventata la Chiesa aperta a tutti i popoli, a tutte le culture, senza confini di nazioni? Il Crocifisso supera i muri, abbatte le barriere, e invece oggi spariamo sugli inermi che cercano di dare un significato alla loro vita. Il governo spagnolo ha condannato l’episodio sottolineando come la “colpa” sia da attribuire ai mercanti di esseri umani.

Non serve ora distribuire le responsabilità o le “colpe”. Penso piuttosto che il primo compito di ognuno di noi – ecclesiastici, politici, cittadini – è guardare agli altri come esseri umani, tali e quali a me, con desideri e speranze legittime per una vita migliore. E dobbiamo dare delle risposte. Non è possibile tollerare queste e altre morti. Sono nostri fratelli e sorelle uccisi a causa della loro speranza. È necessario cambiare la prospettiva con cui guardare agli eventi di oggi e chiederci come vogliamo il futuro. Su questo giornale (e non solo) ho scritto che il conflitto in Ucraina deve terminare. Sì, ma non solo: i conflitti devono terminare perché la sola idea che ci siano conflitti fa precipitare tutto il mondo in un baratro da “terza guerra mondiale a pezzi”, come giustamente dice Papa Francesco. E nessuno ne uscirà indenne. A Roma nel quinto secolo della era cristiana, i senatori e la popolazione pensavano, orgogliosamente, che le mura possenti della città li avrebbero difesi dai “barbari”. E invece i barbari arrivarono e lì terminò un’epoca, come scrivono i testimoni di quegli eventi, tra cui – ad esempio – uno straordinario Sant’Agostino. Ecco oggi siamo ad un altro tornante della storia ma dobbiamo dimostrare di avere imparato, di essere più saggi e consapevoli. Oggi abbiamo strumenti poderosi per costruire la pace: abbiamo il pensiero delle grandi idee di libertà, giustizia, fraternità, abbiamo istituzioni internazionali, strumenti giuridici e l’insegnamento cristiano riassunto e raccolto dall’enciclica “Fratelli Tutti” ed una teologia che si muove per unire l’etica alla Dottrina sociale. Allora smuoviamo le coscienze e scattiamo in avanti: Melilla, come l’Ucraina, come le guerre dimenticate e nascoste, devono raccontare la storia di un’umanità che dice “basta” ai conflitti ed alle violenze e dice sì all’umanità stessa.

Vincenzo Paglia