Uniti contro le diseguaglianze

Mons. Paglia al Festival Internationale dell'Economia

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L'INTERVENTO AL FESTIVAL DELL'ECONOMIA DI TORINO - 2 giugno 2022

Mons. Paglia: serve uno scatto culturale per ricomporre le fratture del Paese

La disuguaglianza non è un fenomeno nuovo. Già Voltaire scriveva: 'Nel nostro sciagurato globo è impossibile per gli uomini non essere divisi in due classi: l'una dei ricchi, che comandano; l'altra dei poveri, che servono'. Oggi, in mondo globalizzato, la disuguaglianza è a tal punto rilevante e progrediente da mettere a repentaglio la stessa convivenza sia all'interno dei singoli popoli che nei popoli tra loro. E non è solo una questione economica, basti pensare alle disuguaglianze razziali, di genere, di opportunità, e così oltre. Se poi queste disuguaglianze si sommano assieme tra loro è in pericolo non solo la democrazia ma la stessa convivenza tra gli uomini. Nel nostro Paese è allarmante la disparità tra l'invecchiamento della popolazione, da un lato, (14 milioni gli italiani da 65 anni in su - il secondo paese al mondo per anziani dopo il Giappone) e il forte calo demografico (dai 59,6 milioni censiti al primo gennaio 2020 si passerà a 58 milioni nel 2030 e a 54,1 milioni vent' anni dopo, per precipitare fino a quota 47,6 milioni nel 2070).

E non basta. Entro il 2040 una famiglia su cinque sarà costituita da una coppia con prole ma più di una su cinque non avrà figli. I dati sono dell'Istat e dicono che la pandemia ha prodotto arretramenti nel benessere della popolazione femminile, soprattutto per le madri con figli piccoli. Ma sono stati anche i bambini, gli adolescenti e i giovanissimi a pagare un altissimo tributo alla pandemia e alle restrizioni. Nel 2019 in Italia il tasso di occupazione dei giovani di 25-34 anni continuava a rimanere il più basso di tutti i paesi europei, con una distanza particolarmente ampia per le ragazze.

L'Italia ha un triste primato in Europa per il numero dei giovani tra 15 e 29 anni che non sono più inseriti in un percorso scolastico o formativo e neppure impegnati in un'attività lavorativa. E ai giovani più istruiti e qualificati, l'Italia non offre ancora opportunità adeguate. Queste sono le reali e drammatiche disuguaglianze. La pandemia ha aggravato situazioni pre-esistenti. E il conflitto in corso in Europa getta altra benzina sul fuoco delle divisioni ma soprattutto allunga ombre sulla capacità di guardare al futuro con fiducia e speranza.

Che fare dunque? Certo, qualcosa si sta muovendo. Ma è ancora poco. Il governo si avvia a prendere decisioni strategiche sulla ristrutturazione dell'assistenza a questo paese che è costituito dalla popolazione anziana. Anche Papa Francesco si sta spendendo nelle catechesi del mercoledì per sottolineare che gli anziani sono una risorsa, non un peso. La consapevolezza della fragilità, se ben compresa, può essere un volano di forza, di sviluppo. È la grande lezione della pandemia: ci siamo riscoperti tutti - società e persone - fragili ed indifesi di fronte ad un virus che non guarda a ostacoli e frontiere. E la straordinaria risposta corale degli scienziati, in dialogo e collaborazione tra loro, ha prodotto un vaccino - anzi più vaccini - in tempi straordinariamente rapidi.

Ma la speranza nata dalla risposta della scienza e da quella dei governi - tutto sommato vicini alle popolazioni - si è dispersa ora con un conflitto insensato e guidato solo da uno sbagliato modo di guardare ai rapporti internazionali. La frattura all'interno di ogni Paese tra giovani e adulti, tra adulti e anziani, tra politica e cittadini, per venire ricomposta ha bisogno di misure senza precedenti. Prima di tutto serve uno scatto culturale: mettere le legittime e opportune divisioni partitiche al servizio del bene comune del Paese in questo momento di profonda svolta epocale.

Non ci sarà futuro senza una pace universale, senza un ambiente pulito (quale sarà l'effetto della guerra sul nostro habitat?). È necessaria una nuova consapevolezza: il virus (ed anche questa insensata guerra nel cuore dell'Europa) ha cambiato il nostro mondo e dobbiamo capire che soltanto uniti ne usciamo. In realtà è forse dalla mancanza di una visione che è sgorgata la pandemia, anche questa guerra e le altre che ci sono anche se facciamo finta di non vederle. In un mondo globalizzato - già negli anni Sessanta si parlava di villaggio globale - possiamo salvarci dalla disumanità solo assieme. Prima avremo questa consapevolezza, prima prenderemo le misure necessarie per instaurare una uguaglianza fraterna tra i popoli.

RIPRODUZIONE RISERVATA «La consapevolezza della fragilità, se ben compresa, può essere un volano di forza e di sviluppo. È la grande lezione della pandemia»